Tante persone arrivano nel mio studio perché soffrono di un Disturbo ossessivo – compulsivo. Apparentemente possono avere anche una vita “normale” ma in realtà sono tutto tranne che libere di godersi la vita, poiché questi pensieri le tormentano e le compulsioni richiedono sempre più tempo per essere portate avanti.
Nell’articolo precedente ho voluto aiutare a definire il Disturbo ossessivo – compulsivo. Andrò ora a spiegarne alcuni meccanismi di mantenimento, in modo da suggerire una visione critica del problema.
La prima informazione è che “avere dei pensieri fuori il nostro controllo” è normale. Tutti noi ne facciamo esperienza. Il problema è che la persona che soffre di un DOC è come se cercasse di annullare il pensiero tanto temuto ottenendo l’effetto contrario: più cerchiamo di allontanarlo e più teniamo la mente concentrata su quel pensiero. Dovremmo avere la sensazione di trovarvi ad una stazione e di paragonare il pensiero ad un treno che si ferma ma che poi, autonomamente, se ne va.
Il secondo punto è che per una persona che vive questa difficoltà, “aspettare che il treno riparta” è difficile. Spesso perché viene attribuita al pensiero un’eccessiva importanza, secondo la quale quei tipi di pensiero sono in grado di influenzare la realtà. Ad esempio, le persone possono percepire come più probabile un evento a cui hanno semplicemente pensato. In realtà, la probabilità che un evento accada non aumenta con il semplice fatto di averci pensato (fusione pensiero – evento). Allo stesso modo, pensare ad un’azione non la rende automaticamente realizzabile: se ho pensato di aver imprecato durante una messa, non significa che sto per farlo (fusione pensiero – azione). Infine, i pensieri o gli impulsi non si possono trasmettere agli oggetti (fusione pensiero – oggetto): se mentre mi sto pettinando ho pensato di aggredire il mio compagno, non significa che se toccherò di nuovo questa spazzola questo accadrà.
L’ultimo punto è che l’ansia generata dalla valutazione che diamo al pensiero intrusivo viene gestita esclusivamente attraverso le compulsioni con la creazione di un circolo vizioso che si automantiene. Infatti, in questo modo, viene rafforzata l’idea che se non vengono praticate le neutralizzazioni aumenta la probabilità che si verifichi l’evento temuto. Infine, non fanno altro che sottolineare la valenza negativa delle ossessioni e la responsabilità che la persona ha sia nel aver pensato a determinate cose che nel prevenire l’evento tanto temuto e tutto ciò, inevitabilmente, aumentano lo stato di angoscia.
Credo che conoscere questi meccanismi sia il primo passo per riuscire ad uscire da questo problema. Ovviamente, rimango dell’idea che se c’è un sintomo vuol dire che c’è anche una sofferenza, quindi conoscere i meccanismi alla base del mantenimento dello stesso non è ovviamente risolutivo.
Si ricorda che tali informazioni sono a carattere informativo e rappresentano una breve sintesi di un argomento molto vasto e complesso
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Bibliografia
- “La personalità e i suoi disturbi” di V. Lingiardi e F. Gazzillo, Raffaello Cortina Editore, 2014;
- “I protocolli terapeutici dell’EMDR” di M. Luber, Giovanni Fioriti Editore, 2015;
- “Il trattamento dei disturbi psichiatrici” di G. Gabbard, Raffaello Cortina Editore, 2016;
- “Il manuale Diagnostico Psicodinamico: PDM-2” di V. Lingiardi e N. McWilliams, Raffaello Cortina Editore, 2018;
- “Manuale di Psichiatria e Psicologia clinica” di G. Invernizzi e C. Bressi, Ed. McGraw Hill, 2017.
- “I protocolli clinici della terapia cognitivo – comportamentale” di C. La Mela, Maddali e Bruni, 2016.